Paolo Crosa Lenz        Lepontica  01          Ottobre 2020

Sommario

  1. Perché Lepontica
  2. Il tempo della buzza
  3. Una nuova via alpinistica sulla Punta Laugera
  4. Don Sisto Bighiani (1920 – 1979)
  5. Il Palazzo Silva di Domodossola
  6. Macugnaga nel Novecento

1. Perchè Lepontica

Sollecitato da più parti a continuare l’esperienza delle note informativa di carattere ambientale e culturale maturata durante la primavera scorsa in tempi di lockdown (“La scuola al tempo del coronavirus”) e permettendomi la pensione tempi lenti di studio e riflessione, ho pensata di redarre mensilmente alcune libere notizie di libera circolazione. Aspirano ad essere solo un momento piacevole di lettura e amena discussione.

Ho pensato di chiamarle “Lepontica” non per richiamare a Oscella lepontiorum, che la moderna ricerca ha dimostrato non essere mai esistita (uno stereotipo infondato), ma ai Leponti (gli antichi abitatori delle nostri terre, quindi la storia e la cultura) e alle Alpi Lepontine (le montagne e la natura, quindi l’ambiente e le cose buone del vivere). Richiama anche a “Lepontica”, rubrica televisiva su questi temi ideata trent’anni fa da Edgardo Ferrari, allora direttore di TeleVCO, e da me e trasmessa dall’emittente per alcuni anni.


 

Natura

2. Il tempo della buzza

fonte https://lavalledelrosa.forumfree.it/?t=62198320

La primavera e l’autunno sono ricordate, nella memoria storica della nostra gente, come “il tempo della buzza”. Le buzze sono le periodiche esondazioni dei torrenti di montagna e del fiume Toce dopo piogge prolungate che, nel clima continentale alpino, si verificavano in aprile-maggio e ottobre-novembre, a differenza del clima mediterraneo dove piove in inverno ed è siccità in estate. 

Le buzze erano solitamente provocate da piogge intense e battenti in breve periodo di tempo che spaccavano il terreno e sradicavano alberi; così le recenti del 1978, 1987 e 1993. L’alluvione del 2001 è stato riconosciuto sia stata un’alluvione di “nuova generazione”: piogge di tipo monsonico abbondanti e prolungate per più giorni (oltre 600 mm in tre giorni come un anno in pianura padana). L’alluvione del 2020 pare ritorni ai parametri del passato: 600 mm in 24 ore. Una giornata d’acqua ci ha rivelato nuove fragilità sia nel territorio (che va curato con attenti interventi di pulizia degli alvei e cura dei boschi e non con l’unica medicina del cemento armato) sia nelle politiche urbanistiche (dove e come costruire abitazioni ed edifici civili).

I climatologi riconoscono come i cambiamenti si manifestino con tre variabili correlate: il riscaldamento globale, lo scioglimento dei ghiacci e la frequenza di eventi meteorologici estremi. Proprio a questi ultimi si fa riferimento per tentare di spiegare l’ultima alluvione che ha investito le Alpi occidentali, come due anni fa la tempesta “Vaia” ha colpito le Dolomiti e le Prealpi Venete.


 

Alpinismo

3. Una nuova via alpinistica sulla Punta Laugera

punta laugera
fonte gulliver.it

Una grande parete di buona roccia, alta 400 m, in uno dei luoghi più remoti ed appartati delle Alpi. E’ la Punta Laugera (2995 m), la più elevata lungo la catena spartiacque tra la valle Anzasca e la valle Antrona. E’ una montagna poco conosciuta: troppo faticosa per gli escursionisti e dall’accesso lungo e complesso per gli scalatori. Alla base della parte vi è una piccola lingua glaciale che sopravvive a fatica nel caldo estivo. Qui, il 20 agosto, è stata tracciata una nuova via alpinistica di scalata sulla parete ovest-sud-ovest. Alpinismo vero, di stampo classico. Autori sono state tre guide alpine: Paolo Stoppini, Fabrizio Manoni e Simone Antonietti.

E’ la terza volta nella storia dell’alpinismo che gli scalatori mettono le mani su quella roccia. Sono tutti nomi di primordine dell’alpinismo italiano. Il 16 luglio 1950 i “Ragni di Lecco” Davide Pennati e Giovanni Ratti percorrono il colatoio centrale. Negli anni ’50 la via è stata ripetuta con una variante dall’alpinista verbanese Tino Micotti. Oggi il nuovo itinerario tracciato dagli ossolani dimostra sia la vitalità del nostro alpinismo sia come i monti dell’Ossola offrano ancora opportunità per la pratica di un alpinismo esplorativo e di ricerca.

Il luogo e il nome della montagna hanno rilievo nella storia dell’Ossola. Il vallone di Mondelli è stato un itinerario storico all’epoca del contrabbando di sigarette, i ”camminatori della luna” che trovarono occasione di riscatto economico in valli povere di montagna. Il nome Laugera richiama al “laveggio”, la pietra ollare con cui per secoli sono state realizzate stufe e stoviglie. Il toponimo è stato assegnato alla montagna da Riccardo Gerla, alpinista milanese che, alla fine dell’Ottocento, esplorò a lungo questi monti.

Personaggi

4. Don Sisto Bighiani (1920 – 1979)

fonte http://www.ossolanews.it/ossola-news/il-25-settembre-ornavasso-ricordera-don-sisto-bighiani-30031.html

Il 30 ottobre 1979 moriva, in un incidente stradale sulla statale di Valle Anzasca, don Sisto Bighiani, parroco di Macugnaga. La sua figura è profondamente radicata nella memoria storica della gente della Valle Anzasca. Nato a Ornavasso, paese walser come Macugnaga, nel 1920, studiò in Seminario a Novara e, giovane prete, compì la scelta coraggiosa della lotta partigiana divenendo cappellano militare prima della “Valtoce” e poi dell’”Osella” di Cino Moscatelli. In anni duri, quando la montagna grondava sangue per le rappresaglie dei nazifascisti, don Sisto diceva ai suoi partigiani: “In ginocchio per pregare, in piedi per lottare!”. Il 25 aprile 1945 fu a Milano, dove parlò alla folla nel giorno della Liberazione. Quello stesso anno venne assegnato alla parrocchia di Macugnaga, quasi che la solitudine di un piccolo paese fra alte montagne potesse calmare i bollenti spiriti di quel giovane prete “ribelle”. Don Sisto arriva a Macugnaga in bicicletta e osserva la grande parete del Monte Rosa. Ne rimane affascinato. Diventa guida alpina e condivide con i suoi parrocchiani un mestiere da uomini delle montagne.

Gli anni ’50 sono anni cruciali per la montagna italiana. Il modello economico basato sull’industria erode rapidamente il tessuto contadino di una società agro-pastorale durata mille anni. I guadagni sicuri delle città prosciugano le valli alpine provocando un’emorragia di popolazione. Prima la radio e poi la televisione impongono stili di vita e scale di valori estranei alla tradizione alpina. L’unica alternativa all’abbandono è lo sviluppo turistico.

Don Sisto capisce tutto questo e intuisce anche altro. Da uomo capace di guardare lontano, come dalla vetta di una montagna, comprende come il turismo abbia bisogno di professionalità moderna e strutture collettive: costruisce la Baita dei Congressi e istituisce la prima Scuola Alberghiera in Italia. Progetti di lunga prospettiva che posero Macugnaga all’avanguardia tra le stazioni turistiche alpine. Dono Sisto capsce anche che non si può dormire sugli allori e bisogna imparare dagli altri. Pianta la tenda a Innsbruck (non aveva i soldi per l’albergo!) per studiare l’organizzazione delle Olimpiadi Invernali. Quel prete, tradizionalista e al tempo stesso aperto al nuovo, girava con la planda nera per capire il futuro degli sport sulla neve. Lo faceva per passione, ma soprattutto per il futuro della sua gente, affinché potesse continuare a vivere dignitosamente ai piedi del Monte Rosa.

Era un uomo di poche parole, come chi è cresciuto nei grandi spazi aperti delle Alpi, e di pochi compromessi, come chi ha idee salde e chiare. Uomo della concretezza e del rispetto per la parola data, tanto distante dal vociare assordante della politica di oggi.

La vita di don Sisto seguì due coordinate non in contrasto tra loro: l’essere prete e l’essere uomo di montagna. Pastore d’anime (“In ginocchio per pregare”) e pastore d’uomini (“In piedi per lottare”). Il suo impegno partigiano per un’Italia libera e migliore, proseguì infatti nel Dopoguerra per difendere la montagna dall’invasione devastante della società consumistica. Capì che la diversità della montagna doveva trovare una sua collocazione nello sviluppo economico italiano.

Una sua poesia, ritrovata tra le poche carte lasciate, recita: “… io mi sento un uomo in parete. / Tutta la vita chiodi e martello / ramponi piccozza / e zaino pesante, / e la corda, perché nessun uomo / può salire da solo.” La sua lezione di vita sia di insegnamento ai nostri giovani.


 

Libri

5. Il Palazzo Silva di Domodossola

fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Silva_(Domodossola)

Il Palazzo Silva di Domodossola fu edificato da Paolo della Silva, esponente di una nobile famiglia che per tre secoli svolse un ruolo centrale nella storia dell’Ossola, nel 1519 come dimora signorile nel cuore della città, non lontano da Piazza Mercato. Nell’Ottocento fu acquistato dalla Fondazione Galletti e trasformato in museo storico ed oggi di proprietà della città di Domodossola. 

Paolo Della Silva fu capitano del regio esercito di Francesco I re di Francia; nel 1519 depose le armi, “dopo successi e sconfitte”, per stabilirsi definitivamente a Domodossola nel sontuoso palazzo che aveva fatto costruire e ornare con fregi in marmo bianco di Crevola. La parabola della nobile famiglia si concluse trecento anni dopo con la morte di un altro Paolo della Silva, abile politico e consultore di Maria Teresa d’Austria. Il palazzo è una splendida dimora rinascimentale, giudicata una delle pià belle delle Alpi, con i suoi saloni, portali e camini, i fastosi ornati. In occasione dei 500 anni di edificazione, un gruppo di studiosi (Gian Vittorio Moro, Giovanni Necchi della Silva, Paolo Negri, Enrico Rizzi) ne hanno ricostruito la storia in un volume riccamente illustrato ed edito da Grossi Edizioni. La scorsa estate finalmente il palazzo è stato continuativamente aperto al pubblico e mi auguro lo sia anche per le scuole; per gli studenti sarà una visita ricca di fascino.


 

Libri

6. Macugnaga nel Novecento

Nel corso del Novecento, Macugnaga ha vissuto un percorso paradigmatico di quanto avvenuto in molti altri luoghi delle Alpi e che ha per sempre cambiato il volto e il ruolo della più rilevante catena montuosa d’Europa. Una serie di fenomeni sociali hanno caratterizzato il secolo e hanno delineato il volto attuale: l’abbandono delle tradizionali attività rurali (agricoltura e allevamento) con la fine dei sistemi d’alpeggio, la definitiva affermazione del turismo di massa, la chiusura delle miniere d’oro che ha scritto la parola fine  ad una secolare stagione estrattiva, il raddoppio della stagione del turismo con la costruzione degli impianti di risalita, la diffusione del fenomeno immobiliare delle seconde case e degli appartamenti in affitto. Tutto questo, preparato in tempi lenti nei decenni precedenti, avviene in modo repentino negli anni ’60 del Novecento, quando l’Italia del boom economico da paese contadino diventa una nazione industriale. Sono gli anni durante i quali nascono e si consolidano gli stereotipi della “Perla del Rosa” e della “Macugnaga da bere”, delle discoteche improvvisate e degli incontri di boxe: nelle piazze arrivano le automobili di lusso, bar e ristoranti sono invasi da una nuova borghesia rampante.

Sono anche gli anni del grande alpinismo sulla parete est del Monte Rosa: è un alpinismo popolare praticato anche dagli operai, che vede affermarsi la nobile tradizione delle guide alpine di Macugnaga, protagoniste dell’ultima fase esplorativa e delle ascensioni invernali. L’alpinismo di Macugnaga (passione e orgoglio, prima che professione) si libera dalla sudditanza nei confronti degli stranieri per diventare autonomo e maturo. E’ l’epoca di personaggi mitici: Costantino Pala, Erminio Ranzoni, Giuseppe Oberto, Luciano Bettineschi e molti altri. La diffusione dei mezzi di comunicazione di massa promuove in ambito internazionale l’immagine dell’unica parete himalayana delle Alpi.

Questi fenomeni complessi hanno comportato la diffusione di modelli e stili di vita cittadini con l’abbandono della cultura tradizionale (l’uso domestico del titsch prima di tutto) e relazioni sociali sempre più sfilacciate. Solo alla fine degli anni ’70 si avvia un processo di recupero del passato e della cultura walser come momento di comune riconoscimento identitario.

Un libro (“Macugnaga nel Novecento” edito da “Il Rosa”) ricostruisce queste vicende, raccontate dai redattori de “Il Rosa”. Non è un libro di storia, ma di memoria, raccontata da immagini inedite in bianco e nero e offerte alla pubblicazione dalle famiglie di Macugnaga che coralmente hanno partecipato all’impresa. Le donne e gli uomini sono i protagonisti dei luoghi e delle cronache. Donne e uomini che non ci sono più, ma che possiamo guardare negli occhi grazie alle immagini. Sono immagini che raccontano gioie e dolori di una comunità, imprese grandi e cambiamenti profondi. Sullo sfondo, la grande ricchezza di Macugnaga: il severo ambiente alpino che schiaccia e modella i destini degli uomini.