Paolo Crosa Lenz       Lepontica 39      Maggio – Giugno 2024

Sommario

1. Il ritorno degli avvoltoi sulle Alpi
2. Pentole di pietra per gli uomini di montagna
3. “La valigia dell’emigrante”
4. Giugno 1944: il rastrellamento della Val Grande
5. Parchi naturali dell’Ossola
6. Case di pietra e legno in Valle Antigorio
7. Gaudenzio Balzano (1927 – 2024)


Natura

1. Il ritorno degli avvoltoi sulle Alpi

A volte ritornano. In un mondo sempre più impazzito, il ritorno di animali estinti in ambienti naturali e umani che li avevano scacciati, è un buon segno. Questa volta vi parlo degli avvoltoi: il gipeto, il grifone e l’avvoltoio monaco (il più raro dei tre e del quale sono stati segnalati alcuni avvistamenti la scorsa estate). È un ritorno tranquillo perché, a differenza di lupo e orso, non sono predatori, non suscitano appetiti elettorali o solleticano paure ancestrali. Sono stati pubblicati i dati 2023 del progetto di monitoraggio degli avvoltoi in Piemonte. Mi racconta l’amico Radames Bionda, tecnico faunistico e grande naturalista: “Anche il secondo semestre del 2023 ha confermato l’incremento di osservazioni già rilevato da gennaio a giugno. Il 55% delle segnalazioni raccolte nel corso del 2023 sono state documentate con foto o video. La maggior parte ha riguardato singoli individui e solo in 10 casi sono stati osservati due individui; 17 avvistamenti hanno riguardato individui adulti. Nel secondo semestre 2023 almeno tre gipeti dotati di trasmettitore hanno frequentato le valli occidentali dell’Ossola. Sono state raccolte 43 segnalazioni di gipeto, che hanno portato il totale per il 2023 a 82 segnalazioni, più del doppio rispetto ai due anni precedenti.” Da molti anni il gipeto è oggetto di un ambizioso progetto di reintroduzione che mira a ricostituire una popolazione vitale sulla catena alpina, da dove è stato sterminato all’inizio del Novecento. Il gipeto e il grifone sono avvoltoi, come il condor delle Ande, non sono rapaci. Per nutrirsi non uccidono le loro prede, non sono rapaci come l’aquila o il gufo reale, ma si nutrono di animali già morti. Sono “spazzini del cielo”. Sono uccelli grandi, veri e propri “Bombardieri dell’aria tersa”, con un’apertura alare sui tre metri. Meravigliosi a vedersi. Dimenticavo: i tre gipeti rilevati con ricetrasmettitore lo scorso anno hanno un nome. Si chiamano Fredueli, BelArosa e Luzerna. Bentornati sui cieli dell’Ossola.

 


Storia

2. Pentole di pietra per gli uomini di montagna

Il laveggio o pietra ollare, cioè sasso per ricavare “olle” (recipienti per contenere il burro fuso, l’olio di noci e la carne salata), è una roccia serpentinosa di colore verde, facile da lavorare e resistente al fuoco e agli agenti atmosferici; solo l’umidità e il gelo la possono sfarinare in superficie. Per queste sue caratteristiche era impiegata per produrre recipienti da fuoco per la cottura dei cibi, paioli per la lavorazione del latte, vasi e olle, truogoli per i maiali, ma anche i “fornetti”, le grandi stufe di pietra per scaldare le case di montagna, e i “molinetti” per macinare la pirite aurifera. Salendo sullo spartiacque che porta al Pizzo Ragno, in Val Vigezzo, si vede ul Castéll, un affioramento di serpentino che porta impresse le emisfere tondeggianti dell’estrazione della laugera o pietra ollare (leuzerie nel dialetto vigezzino). Oltre alle pendici del Pizzo Ragno, i ciapùgn, gli abbozzi delle pentole rimasti sui massi di serpentino, sono visibili sulla strada della Val Loana, poco prima di Fondighebi. La pietra ollare ebbe una notevole importanza nell’economia tradizionale dei villaggi alpini. La sua estrazione e lavorazione ebbe larga diffusione come attività artigianale all’interno di un sistema economico alquanto chiuso. Colonne, capitelli e sculture in pietra ollare ornano un po’ tutte le chiese della zona. Le tecniche estrattive vedevano lo scavo dei blocchi che, dopo essere stati sbozzati, venivano staccati con l’uso di cunei di legno duro (generalmente frassino, maggiociondolo o faggio). Il blocco veniva quindi trasportato in paese a spalla, con l’uso di apposite cadole (càule in dialetto), oppure su slitte. Il blocco veniva lavorato a mano o con il tornio idraulico per ottenere recipienti dello spessore di uno o due centimetri. Le pentole e i vasi venivano quindi cerchiati con lamine di rame o ferro. Oggi la lavorazione della laugera fin dall’antichità è documenta nel museo del Parco Nazionale Val Grande, ospitato nel palazzo pretorio di Malesco in Valle Vigezzo, nell’“Ecomuseo ed leuzerie e di scherpelit” e nel “Museo di Valmaggia” a Cevio in Canton Ticino (CH).


 

Poesia

3. “La valigia dell’emigrante”

Ho incrociato in una scorribanda letteraria una poesia di Gianni Rodari scritta nel 1952. Fortuna del caso. È un’allegra e commovente filastrocca sul tema dello “straniero” (welsh in lingua walser, mzungu in swahili, ma la parola è declinata in tutte le lingue del mondo). Anch’io per un anno della mia vita sono stato straniero in Scozia e mio padre per venticinque anni in Svizzera. Sappiamo cos’è la nostalgia: è il ricordare ogni curva di un sentiero che hai percorso cento volte per raggiungere un monte o un alpe sperduto. Oggi, nella nostra fragile e tormentata contemporaneità in cui il tema delle migrazioni è sempre più presente, questa poesia ci offre un lampo di dolcezza e un invito ad una comprensione solidale.

Non è grossa, non è pesante
la valigia dell’emigrante…
C’è un po’ di terra del mio villaggio
per non restare solo in viaggio…
Un vestito, un pane, un frutto,
e questo è tutto.
Ma il cuore no, non l’ho portato:
nella valigia non c’è entrato.
Troppa pena aveva a partire,
oltre il mare non vuol venire.
Lui resta, fedele come un cane,
nella terra che non mi dà pane:
un piccolo campo, proprio lassù…
ma il treno corre: non si vede più.


Storia

4. Giugno 1944: il rastrellamento della Val Grande

Il rastrellamento della Val Grande, un vasto territorio alpino tra il Verbano e l’Ossola oggi tutelato come parco nazionale, rimane ancora oggi impresso nella memoria storica delle popolazioni locali come uno degli eventi più tragici della Resistenza. Dall’11 giugno al 1° luglio 1944 l’operazione, coordinata dal comando SS di Monza, tese ad annientare la formazione partigiana attestata nella zona: il Valdossola di Dionigi Superti, coinvolgendo anche la Cesare Battisti e la Giovane Italia. Per venti giorni parecchie migliaia di soldati tedeschi e fascisti (con l’appoggio di aerei, blindati e artiglieria pesante) braccarono circa 500 partigiani, molti dei quali disarmati. Il rastrellamento vide atti di estrema ferocia da parte dei reparti speciali antiguerriglia delle SS con torture, fucilazioni sommarie di civili, partigiani gettati vivi dai dirupi. Vittime del rastrellamento non furono solo le formazioni partigiane, ma anche pastori e alpigiani, che pagarono con la vita e la distruzione di stalle e alpeggi l’appoggio dato alla Resistenza. La mattina del 20 giugno 1944, alcuni partigiani catturati durante il rastrellamento vengono prelevati dalle cantine dell’asilo di Malesco, caricati su un camion e condotti nei sotterranei di Villa Caramora a Intra, sede del comando SS. Dopo ore di sevizie e torture, verso le 15:00, 41 partigiani, più il gappista Marino Rosa di Intra e una donna, Cleonice Tomassetti, vengono fatti sfilare incolonnati da Intra a Fondotoce. Le strade sono deserte, le persiane chiuse, la città è silenziosa. In testa alla “colonna” con Cleonice due partigiani sono costretti a portare un cartello con la scritta: “Sono questi i liberatori d’Italia oppure sono i banditi?”. La marcia dei prigionieri si conclude a Fondotoce sulla riva del canale che mette in collegamento il lago di Mergozzo con il Lago Maggiore. I martiri a tre a tre vengono uccisi dal plotone di esecuzione. Un ufficiale tedesco spara a ciascuno un colpo alla nuca. Si salva solo il partigiano diciottenne Carlo Suzzi, ferito e coperto dai cadaveri dei compagni. A sera verrà raccolto dalla popolazione di Fondotoce, curato e messo in salvo. Riprenderà a combattere da partigiano fino alla Liberazione con il nome di battaglia Quarantatrè.

 


 

Libri

5. Parchi naturali dell’Ossola

È in libreria la nuova guida escursionistica “Parchi naturali dell’Ossola – Sentieri nella natura” (Grossi, Domodossola, 2024). Ne parlo, perché con l’amico Giulio Frangioni, rappresenta il punto di arrivo di un percorso, iniziato quarant’anni fa, per raccontare, promuovere e difendere le nostre montagne. Il libro è il risultato di una lunga, assidua e appassionata frequentazione delle Alpi Pennine e Lepontine e permette di frequentare questo angolo meraviglioso di monti in sicurezza e con attenzione ai valori naturalistici e umani: quaranta itinerari descritti in dettaglio e tre grandi trekking (“Da Antrona a Devero: il trekking dei parchi naturali dell’Ossola” – “Simplon Fletschorn Tour” – “Ferrata del Lago Tour”). I parchi naturali dell’Ossola (Alpe Veglia, Alpe Devero e Valle Antrona) tutelano vaste porzioni delle Alpi Pennine e Lepontine, montagne ideali per un escursionismo alla ricerca sia di un contatto profondo con una natura alpina quanto mai severa e preziosa, sia con un’antica civiltà di lavoro e fatica che può insegnare valori buoni alle donne e agli uomini di oggi. Sono il regno dei Tremila, monti che non offrono gli ambienti estremi dei Quattromila, ma proprio per questo permettono ascensioni ed escursioni alla portata di tutti. La linea spartiacque con il Vallese svizzero permette di effettuare trekking transfrontalieri in ambienti naturali che non conoscono confini e sono tutelati dal Transboundary Park italo svizzero. La rete sentieristica è sicura e segnalata, i punti di appoggio sono accoglienti. Entriamo in punta di piedi in un mondo che ci ospita e appartiene a camosci, stambecchi, marmotte, mentre in cielo volano liberi l’aquila e il gipeto.


Civiltà alpina

6. Case di pietra e legno in Valle Antigorio

La Valle Antigorio è una “terra di mezzo” tra la pianura alluvionale dell’Ossola che guarda al Lago Maggiore e i ghiacciai e i valichi della Val Formazza che guardano alla Svizzera. Questa peculiarità geografica e morfologica ha influito sulla storia e la civiltà materiale, sulla cultura e sul paesaggio. Una terra di passo e di confine, che l’amico Alessandro Zucca, architetto e raffinato cultore della civiltà alpina, racconta nel libro “Valle Antigorio, architettura rurale e territorio” in questi giorni in libreria (Grossi, Domodossola, 2024). In Antigorio, il Novecento ha portato trasformazioni economiche di rilievo: l’industria idroelettrica, l’esperienza delle acque minerali di Crodo e le moderne Terme di Premia, la produzione dell’analcolico biondo a Crodo, la crescita di un settore lapideo con l’estrazione del prezioso serizzo d’Antigorio. La studiosa svizzera di dialettologia Gertrud Frei soggiornò a Salecchio per tre estati, tra il 1962 al 1965, per condurre una ricerca sulla lingua walser che stava morendo. Notò anche come il vocabolario fosse povero di vocaboli astratti (gioia, speranza, libertà, …), ma ogni filo d’erba aveva dieci nomi, così il fieno e i fiori. La cultura non è solo compito dei dotti, ma si esprime in forme di cultura materiale quanto mai raffinata e sapiente, frutto dell’integrazione tra architettura rurale e territorio. Per questo la pluridecennale ricerca di Alessandro Zucca sull’abitare in montagna restituisce valore e dignità a quella comunità estrema. La ricca documentazione offerta dal libro, fissata sulla carta con la precisa e puntigliosa ripresa nei disegni a china, costituisce una memoria preziosa e orgogliosa della vita quotidiana espressa nei nove modelli abitativi che testimoniano la varietà culturale e di esperienze storiche di una singolare valle alpina. La ricerca, oltre alla qualità dei disegni riproduttivi frutto di un paziente lavoro di campo, è arricchita da un apparato di immagini esplicative e confermative dei disegni a china.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Case walser di legno a Salecchio.

In alto: Disegno di dimora a telaio a Osso di Croveo


Personaggi

7. Gaudenzio Balzano (1927 – 2024)

È mancato a 96 anni Gaudenzio Balzano, dopo una vita spesa al servizio della comunità di Ornavasso. È stato uno di quegli uomini, presenti in tutte le comunità di montagna, di pianura e di mare, per i quali lavorare per gli altri e con gli altri è un dovere etico che dà senso alla vita. Esponente di una solida famiglia allargata di lavoratori, per oltre settant’anni il popolare Dense (come era affettuosamente chiamato) ha speso energie e tempo libero per il miglioramento del paese e della collettività. Cavaliere del Lavoro, anni fa è stato insignito della “Sirena d’Oro”, riconoscimento assegnato a chi si è distinto nella vita di Ornavasso. Fu tra i fondatori della “Nuova Ornavasso” Associazione Pro Loco di cui è stato per lunghi anni presidente, condividendo con l’amico di sempre Giulio Trombetta l’organizzazione del Carnevale ornavassese e la distribuzione gratuita del risotto del “martedì grasso”. In quella veste è stato promotore, realizzatore e manutentore del parco giochi di via Marconi. Una scelta lungimirante quella di creare nel cuore di Ornavasso un’area verde attrezzata in un paese che di verde non ne ha bisogno. Il parco giochi è diventato nei decenni un luogo di riferimento per le feste delle associazioni e spazio sicuro dove le mamme portano a giocare i bambini. È stato il suo capolavoro. Gaudenzio Balzano è stato tra i soci fondatori della Croce Rossa locale che negli anni è diventata il Corpo Volontari del Soccorso Ornavasso, un volontariato al servizio della salute pubblica che oggi ha assunto aspetti di alta professionalità. È stato impegnato nell’amministrazione locale e per anni vicesindaco di Ornavasso. Meccanico raffinato, da giovane aveva lavorato come tecnico nel settore delle pietrine per orologi, un singolare distretto industriale specializzato nella bucatura del rubino sintetico e che arrivò a impiegare molte centinaia di “fabbrichine”, le giovani ragazze che ogni mattina giungevano a Ornavasso dai paesi vicini. Il settore andò repentinamente in crisi negli anni ’70 con l’impiego della tecnologia del laser. Per ricordare quella irripetibile stagione di lavoro Gaudenzio Balzano promosse prima una mostra di macchine da bucature e poi lo studio e la pubblicazione nel 2014 del libro “Pietrine e fabbrichine”. Avrebbe potuto non impegnarsi in tutte queste imprese di volontariato assoluto, eppure lo ha fatto. C’è un proverbio africano in lingua swahili che dice: “Se vuoi correre veloce corri da solo, se vuoi andare lontano corri con gli altri”. Credo che il Dense nella sua vita sia andato lontano. Una lezione etica e un esempio morale per i nostri giovani.

 

 

 

 

 

 

Giovanissime “fabbrichine” in un laboratorio di bucatura del rubino sintetico (fine anni ’40 del Novecento).