Paolo Crosa Lenz Lepontica/8 Maggio 2021
Sommario
1. La migrazione dei cervi
2. Quando la montagna si tinge di giallo
3. 1970 – 2020: i cinquant’anni del CAI Macugnaga
4. Elogio del Monte Massone: cent’anni di una croce di vetta
5. La “piccola Pompei” delle Alpi
6. Andare a scuola in Africa
7. Carlo Rapp (1932 – 2021)
Natura
1. La migrazione dei cervi
Il cervo (Cervus elaphus) vive nelle foreste e solo in estate si spinge al limite dei pascoli alpini.
Possiede corna ramificate, assenti nella femmina; i palchi vengono persi tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera. Gli esemplari più vecchi li perdono verso la fine di febbraio, i più giovani in aprile.
L’abito estivo è marrone rossiccio che diventa grigiastro in inverno.
In settembre-ottobre, durante la stagione degli amori, i bramiti dei cervi che si contendono le femmine in grandi scontri tra maschi adulti cozzando l’un l’altro con le corna sono facilmente avvertibili nei boschi.
Le guide naturalistiche dei miei monti organizzano le gite per ascoltare la sera i loro bramiti: un inno alla vita!
Dopo i bramiti, le lotte feroci per il diritto all’accoppiamento, quando sentono nell’aria l’odore della neve che arriva, abbandonano i pascoli estivi per una migrazione “in basso”.
La quantità di neve che in inverno cade sulle Alpi Pennine e Lepontine rende impossibile la sopravvivenza di questi grandi mammiferi entro i loro confini e centinaia di animali sono costretti a spostarsi fuori delle aree protette, dove saranno sottoposti al prelievo venatorio. È una migrazione annuale che porterà i cervi ad abbassarsi di quota per trovare nei boschi di bassa montagna e di fondovalle condizioni migliori, una minore quantità di neve che ne impedisce gli spostamenti, più opportunità alimentari. Quelli che sopravvivono alla stagione di caccia e ai rischi dell’inverno faranno ritorno ai pascoli alti e protetti dai lariceti subalpini la primavera successiva, attratti dallo spuntare della prima erba verde.
In maggio, per lo più di notte, i cervi percorrono i sentieri degli alti villaggi alpini per portarsi a Veglia e a Devero. Una migrazione invisibile e nascosta, come quella di alcuni uomini.
Le foreste naturali di larici li proteggeranno fino all’autunno. Solo all’alba usciranno per l’abbeverata nelle pozze e nei laghetti.
Natura
2. Quando la montagna si tinge di giallo
Il tulipano alpino è un fiore molto raro e a protezione assoluta.
È un fiore giallo con striature rosse che fiorisce tra maggio e giugno nei prati da sfalcio dei pascoli di media quota. La stazione più importante sulle Alpi si trova a Bugliaga di Trasquera dove ogni anno è in faticosa fioritura dopo le ultime nevicate a bassa quota.
Altre piccole popolazioni sono presenti a Baceno e in Val Grande.
È un fiore raro e unico, simbolo della grande bellezza della natura alpina; unisce gli uomini delle Alpi e li fa operare insieme per proteggere l’ambiente. Il botanico svizzero Aldo Antonietti dal 1987 studia la flora della Val d’Ossola e riconosce la straordinarietà del tulipano alpino di Bugliaga che fiorisce tra i 900 e i 1600 mt dell’alpe La Balma. La Tulipa australis cresce nei prati e richiede uno sfalcio dopo la fioritura, quindi dopo la metà di giugno, preferibilmente con lo sfalcio tradizionale a ranza (la falce da fieno medioevale) per evitare l’estrazione dei bulbi. Un pericolo sono i cinghiali.
A Torbel, vicino a Zermatt in Vallese, paradossalmente lo sfalcio estremo e precoce pone alte criticità per la sopravvivenza della specie.
A Bugliaga un facile anello escursionistico permette di visitare le splendide fioriture di Tulipa australis.
L’itinerario (poco più di 500 mt di dislivello) richiede circa tre ore e si snoda su buoni sentieri segnalati dalla sezione di Varzo del Club Alpino Italiano: Trasquera, Bugliaga, La Balma, Cima ai Campi, Bugliaga dentro, La Cresta, Bugliaga, Trasquera.
Nella seconda metà di giugno, poco distante da Bugliaga e visibile in linea d’aria, alla Furggu sopra Gondo sono in piena fioritura le orchidee, sbocciano nei prati da sfalcio che inverdiscono dopo lo scioglimento delle nevi.
Queste fioriture, le più importanti e vistose della Svizzera, sono raggiungibili in automobile (ascensione al Seehorn o escursione in Lagginthal) oppure su buon sentiero da Gaby o da Zwischbergen.
Grengiols è un villaggio nel Goms (Svizzera) dove vivono 450 persone e 450 mucche.
È il paese più rurale dell’Alto Vallese di lingua tedesca con 10 famiglie che lavorano in agricoltura (realizzano due-tre tagli di fieno l’anno tra prati asciutti e magri) e producono un formaggio pregiato.
Grengiols è uno dei sei comuni del Landschaftpark Binntal (Parco paesaggistico della valle di Binn), gemellato con le Aree Protette dell’Ossola, che hanno stretto un patto comune di collaborazione transfrontaliera in difesa della montagna, della natura alpina e a favore degli uomini che vi abitano.
I prati di Grengiols, un tempo coltivati a segale, conservano una cosa unica al mondo: la tulipa grengiolensis, un tulipano che cresce solo tra le fredde e impervie montagne del Vallese.
In maggio si svolge la Tulipefest, il “festival del tulipano” che attrae visitatori da tutta la Svizzera e dall’Italia.
Il tulipano di Grengiols, unico al mondo, cresce in associazione con la segale ed è presente in tre varietà: completamente gialla, gialla striata e completamente rossa. Quest’ultima è rarissima e a rischio di estinzione.
A Gregiols il Tulpering (anello dei tulipani) è un sentiero ampio e ben tracciato che percorre la collina sovrastante il villaggio e permette di visitare i campi di segale coltivati per la fioritura della tulipa grengiolensis.
Poco dopo la fioritura dei tulipani è la volta del maggiociondolo: i monti della Valle Antrona si tingono di giallo per la straordinaria fioritura di questo albero arbustivo con splendidi fiori color giallo oro raggruppati in racemi penduli lunghi fino a 25 cm.
Tutto il versante a lovigo (in ombra, rivolto a nord) tra il lago di Antrona e quello di Campliccioli è coperto da estese macchie di un giallo abbagliante Le fioriture durano 10–15 giorni in dipendenza dall’andamento meteorologico. Solitamente avvengono alla fine di maggio, ma in Antrona, a seconda della quota e dell’esposizione dei versanti si possono ammirare anche in giugno.
Dopo la fioritura, i frutti (legumi con semi neri) contengono un alcaloide estremamente velenoso per l’uomo, ma del quale sono immuni i cervi.
Il maggiociondolo, agalin nei dialetti locali, era pianta preziosa nella civiltà contadina dell’Ossola perché con il suo legno, duro e pesante, si facevano i “chiodi” che fermavano le palerie dei tetti di pietra nei villaggi e negli alpeggi
Montagna
3. 1970 – 2020: i cinquant’anni del CAI Macugnaga
La sezione del CAI di Macugnaga nacque nel secondo dopoguerra del Novecento insieme alle altre sezioni CAI dell’Ossola, ad eccezione di quella di Domodossola, nel 1869 la sesta in Italia.
La nascita di tante nuove sezioni fu il risultato di un processo che vide la trasformazione del CAI da club elitario a sodalizio di massa.
Nel 1873, a dieci anni dalla fondazione, il CAI contava 1500 soci in tutta Italia, oggi sono oltre 300.000.
Nella seconda metà dell’Ottocento le sezioni attorno al Monte Rosa erano quattro (le “quattro rosine”): Varallo, Domodossola, Biella, Intra.
Gli iscritti erano un pugno di borghesi benestanti mossi da alti valori risorgimentali e che contribuirono alla costruzione di un nuovo “modello ricreativo” della montagna italiana.
Oggi le sezioni sono 17, unite nel raggruppamento “Est Monte Rosa” che ogni anno offre un programma unitario di centinaia di escursioni guidate. Dopo il periodo triste del Fascismo, quando il CAI fu “nazionalizzato” dal regime e a cui fu anche cambiato il nome (Centro Alpino Italiano), a partire dagli anni ’50 il CAI diventò la grande associazione di chi ama la montagna.
Raccontano i vecchi che, in un’Italia uscita da una guerra terribile, l’andare in montagna come a ballare rappresentava la voglia di tornare a vivere.
E, in quell’Italia tutta da ricostruire, anche la costituzione di una sezione del CAI fu un tassello di una ricostruzione economica e sociale che andava realizzata. Emblematica in questo senso la “giovane” sezione del CAI Macugnaga che in pochi anni acquisì un record nazionale: un villaggio di montagna con più iscritti al CAI che abitanti.
La sezione svolse un ruolo importante nella maturazione di una nuova visione della frequentazione della montagna: Teresio Valsesia ebbe l’intuizione grande dell’emergere dell’escursionismo di massa (le Alpi non più solo come vette da scalare, ma anche come sentieri da percorrere).
Questo si tradusse in due linee d’azione: la segnatura dei sentieri e la posa della segnaletica, il recupero di un patrimonio di edilizia rurale per l’escursionismo.
Così antiche baite in stato di abbandono divennero luoghi di ricovero per gli escursionisti.
Si formò così un patrimonio di otto rifugi e bivacchi al servizio della collettività. Idee, programmi, iniziative che rimangono nella storia sociale della nostra terra e che sono anche storie personali lunghe una vita.
Per i vecchi lo “spirito CAI” è la conferma di avere speso bene il proprio tempo e le proprie energie, per i giovani è una prospettiva etica di valori solidi.
Montagna
4. Elogio del Monte Massone: cent’anni di una croce di vetta
Il Monte Massone (2167 mt) è montagna molto amata nelle terre del Novarese e nel Verbano Cusio Ossola. Facili da salire e percorsi da buoni sentieri, i duemila metri del Massone sono già vera montagna: fatica della salita, il Monte Rosa a portata di mano, i laghi ai piedi; sudore e grandi sguardi, azione e contemplazione.
Già dagli anni ‘20, ma ancor più nel secondo dopoguerra, il Massone divenne una montagna mitica. Oggi lo è meno. La ragione stava nella facilità di accesso grazie alle due ferrovie: la Novara – Domo con fermata a Ornavasso e la Milano – Domo con fermata a Candoglia. Da lì a piedi su quasi duemila metri di dislivello su sentieri antichi e per fitti boschi. Poi, in alto, sopra la Bocchetta, la prateria d’alta quota, la roccia e il cielo. Un’avventura.
Il Massone era anche entrato nel cuore del pittore Achille Tominetti, grande naturalista lombardo, che visse e dipinse a Miazzina alla fine del secolo scorso. Sono numerosi i quadri che raffigurano scene di vita contadina con sullo sfondo il Massone, massiccio e signorile con i gropponi dei Tre Gobbi “spaziosi come nuvole”.
Il Massone è onnipresente dai laghi. Forse un ingombro che nasconde la vista sulle Alpi? “No: il Massone non ha mai disturbato con la sua groppa massiccia e la sua cima bicuspide, se vista in prospettiva, con l’indaco dei mattini e l’azzurro della sera spalmati sulle sue falde invitanti e misteriose, sotto la raggiera scintillante del Monte Rosa” (Silvio Alfieri).
Con il primo dopoguerra questa montagna bella e severa entrerà a pieno titolo nella storia dell’escursionismo alpino e nei cuori di generazioni di alpinisti. Nel 1919 viene costruito all’alpe Tirambohe, sulla montagna di Ornavasso, il rifugio “Capanna Legnano”, voluto da un comitato di legnanesi per ricordare i caduti in guerra della città lombarda. Ne diventa custode l’ornavassese Guido Oliva che la gestirà ininterrottamente fino alla morte nel 1986. Nel 1921 viene posta sulla vetta
Archeologia
5. La “piccola Pompei delle Alpi”
Alcuni metri sotto il terreno della piana alluvionale del fiume Toce in Val d’Ossola sarebbe nascosta una “piccola Pompei” creata dalle alluvioni del torrente Marmazza nella prima metà del XIV secolo. I documenti storici e i dati archeologici concordano.
A dimostrarne l’evidenza è stata nel 2018 l’archeologa medioevale Michela Babbini che esaminò con attenzione alcuni aerofotogrammi. Il luogo è Pieve Vergonte. La storia è questa.
Attorno al X secolo gli studi dello storico Enrico Rizzi indicano la presenza di una “corte monastica”, un avamposto alpino all’affermarsi del Cristianesimo. Nel 1250 Vergonte, prima “capitale” dell’Ossola Inferiore, viene conquistata dal Comune di Novara che la intitola al podestà Guiscardo di Pietrasanta. Tra il 1321 e il 1347 alluvioni del torrente Anza distruggono il borgo che non verrà più ricostruito. Nel 1348 Vogogna diventa “capitale” dell’Ossola inferiore come “filia Vergonti”.
In evidenza sul soprassuolo è rimasto il “muraccio”, un muro difensivo alto circa tre metri e lungo ventidue in località Borgaccio.
Un sondaggio di scavo è sceso fino a 3,7 metri senza arrivare alla base del muro, alto oltre sei metri.
Le ricerche dell’Università “Cà Foscari” di Venezia, con l’utilizzo del georadar, stanno disegnando il sottosuolo della “piccola Pompei” alpina.
Le dimensioni sono notevoli: una chiesa con abside di 2.000 mq (la più antica dell’Ossola?) e un borgo fortificato di 7.500 mq.
Lì vicino sono in corso le opere di bonifica dell’area inquinata ex Enichem: la famosa “Rumianca” di Pieve Vergonte (prima armi chimiche e poi DDT). La bonifica potrebbe portare risorse per un riscatto della Storia: tanto male che porta un po’di bene?
Bambini
6. Andare a scuola in Africa
In queste settimane tutti i nostri ragazzi stanno tornando a scuola.
Viva la scuola! Non solo in Italia, anche in altre parti del mondo. Vi racconto una storia che, con molti altri, vede partecipe anche la mia famiglia.
La Tanzania è un paese dell’Africa centro-orientale nel quale ha prestato servizio come volontaria laica Maria Teresa Saglio (Ornavasso 1926 – Tosamaganga 2018).
La Tanzania occupa il 159° posto per indice di sviluppo umano (su 189 paesi nel mondo). In Tanzania c’è un medico ogni 33.000 persone (come ci fossero cinque medici in tutto il VCO); il tasso di mortalità materna e infantile è molto alto; circa il 60% della popolazione vive in stato di povertà; il 22% di abitanti è analfabeta; mancano scuole e personale scolastico; l’età media della popolazione è di 18 anni.
In Africa centrale e occidentale un bambino su cinque in età scolare non è mai entrato in un’aula scolastica.
Maria Teresa Saglio, la “Teresa di Tosa”, ha passato 48 anni della sua vita con l’Africa (Uganda, Kenya e Tanzania) come infermiera pediatrica.
Negli ultimi vent’anni della sua vita si è occupata di garantire l’istruzione primaria ai bambini poveri. La scuola come diritto alla vita.
In questi giorni nel distretto di Iringa, un altipiano a duemila metri nella savana, è iniziata la distribuzione del materiale scolastico fornito dal gruppo di appoggio Cuamm “Mama Teresa con l’Africa” di Ornavasso che, dopo la sua scomparsa, lavora per continuare il suo impegno umanitario.
Di cosa ha bisogno ogni bambino? Matite (2), penne (2), quaderni (6), gomma (1), temperino (1), righello (1), sapone (1) [per una spesa individuale di circa € 5]; una uniforme composta da pantaloni/gonna e camicia per una spesa individuale di circa € 5.
L’iniziativa “I bambini di Mama Teresa” assiste 403 bambini (191 maschi e 212 femmine di 29 scuole primarie del distretto di Iringa). La Tanzania è uno dei paesi con il tasso di scolarizzazione secondaria più basso al mondo: alle scuole superiori è iscritto il 7% dei ragazzi, per questo viene anche permessa la frequenza agli studi di 14 ragazzi iscritti a scuole secondarie, a istituti professionali e all’Università.
Personaggi
7. Carlo Rapp (1932 – 2021)
È mancato lo scorso gennaio Carlo Rapp, il pittore del Lago Maggiore, ma anche fine incisore e scultore raffinato. Uomo minuto e gentile, dedicò arte e passione al Verbano.
Fu lui a ideare il logo di Alberti Libraio Editore: l’incisione elegante di una barca che veleggia sul lago.
Il verbanista Pier Giacomo Pisoni (1928 – 1991) vi aveva inserito l’endecasillabo “Vo con l’inverna e con la tramontana”. Una storia di acqua e di vento.
Oltre dieci anni fa, con l’amico editore Carlo Alberti, pranzammo “a lago” in una tiepida giornata di primavera.
Carlo Rapp diceva “Il lago è la mia patria, è il luogo dei miei padri, sul lago ho vissuto gli accadimenti più intensi che a qualsiasi uomo prima o poi tocca di vivere … e poi è uno dei luoghi più belli del mondo!” Era da poco uscito il suo “Aria di lago”, un taccuino verbanese di incisioni straordinarie, che Alberti aveva pubblicato per i cinquant’anni della sua casa editrice.
Nel libro c’erano però anche incisioni delle Alpi, della Val d’Ossola e dei Corni di Nibbio.
Il libro aveva avuto come “compagno di viaggio” il verbanista Pierangelo Frigerio ed era stato confezionato da Marco Agnelli, uno dei più grandi grafici editoriali italiani.
Da Marco Agnelli imparai molto, soprattutto che i libri devono “respirare”. Mentre i due amici guardavano il lago, io guardavo le montagne verdi della Val Grande: le due facce della mia terra. Vai sul tuo lago Carlo Rapp “con l’inverna e con la tramontana”.